piattaforme

[Video] Relazione “Non solo rider” (2 feb. 2021, Collettiva.it, CGIL)

Leggi la presentazione sul sito di Collettiva.it.

Quante e quali forme di sfruttamento digitale esistono, di lavoratori invisibili, disseminati nei cinque continenti, che svolgono attività sommerse, senza diritti e quasi senza retribuzione? Ad aprire la discussione l’iniziativa organizzata dalla Cgil in diretta su Collettiva

Ci sono antiche e nuove forme di sfruttamento di chi lavora per e con le piattaforme digitali. Questi i temi al centro dell’incontro promosso dalla Cgil e realizzato in collaborazione con il Centro per la riforma dello Stato e il Forum disuguaglianze e diversità.

Ho partecipato a questo incontro assieme alla segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti, Cinzia Maiolini, ufficio Lavoro 4.0 Cgil. Ha coordinato Giulio De Petra, Centro per la Riforma dello Stato.

Ne Il Sole 24 Ore (11 ott. 2020)

Nel quotidiano Il Sole 24 Ore (rubrica Nòva), un editoriale di Luca De Biase presenta il mio libro Schiavi del Clic e lo situa all’interno del dibattito sull’evoluzione della natura del lavoro, secondo gli standard proposti dall’ILO.

Il lavoro cambia e il lavoro digitale ancora di più

In anni di studi e discussioni, l’International Labour Organization (Ilo) ha innovato radicalmente il concetto di “lavoro”. E poiché l’Ilo contribuisce significativamente alle definizioni standard per le statistiche sul lavoro, le sue indicazioni hanno un importantissimo valore intellettuale ma anche organizzativo e politico. Ebbene, il lavoro non è più soltanto l’insieme delle attività per le quali si riceve un pagamento. E non è neppure il sonno e ciò che fisiologicamente si fa per il proprio corpo. In pratica, è lavoro ciò che produce beni, servizi e valore per sé e per gli altri, comprese le attività svolte per la famiglia, lo studio, il volontariato e ogni servizio dedicato alla convivenza civile. Il concetto di lavoro si innova nel quadro della trasformazione dell’idea di economia che, ormai, non si concentra più solo su ciò che si scambia sul mercato e ha un prezzo, ma accoglie tutto ciò che ha un valore. L’esperienza degli economisti della felicità, compreso il premio Nobel Daniel Kahneman, non è passata invano. Il valore sociale, culturale, ambientale delle azioni che gli umani svolgono senza un pagamento e senza che quel valore abbia un prezzo, influenza la storia in modo spesso più profondo di quanto succede con molti scambi monetari.

Certo, tutto questo non è ancora entrato nel senso comune. La forza ideologica dell’economia otto-novecentesca è ancora potente. Una dimostrazione del ritardo del senso comune sulla realtà economica si trova nell’interpretazione di alcuni comportamenti che si sviluppano sulle piattaforme digitali. Uno dei punti centrali del contributo di Antonio Casilli all’analisi del lavoro è proprio la sua convincente critica della gratuità delle attività che le persone svolgono su molti social network. Sociologo, ricercatore alla parigina École des hautes études en sciences sociales, Casilli è autore di “Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo?” (Feltrinelli 2020). In base alla definizione dell’Ilo, quello che gli “utenti” fanno sui social network è ovviamente lavoro non pagato, che genera ricchezza per le piattaforme. Casilli mostra come quel lavoro sia tutt’altro che volontario e descrive con attenzione l’ambiguità, se non la banalità, delle interpretazioni che lo presentano come un tipo di lavoro che le persone svolgono liberamente. In effetti, le costrizioni sociali e le ideologie dominanti hanno un’influenza decisiva nelle scelte delle persone: queste possono anche ritenere conveniente la loro dedizione gratuita ai social network in cambio di un servizio solo apparentemente gratuito e, invece, pagato con l’attenzione rivolta alla pubblicità. Nell’ampiezza dell’argomentazione di Casilli occorre qui sottolineare il conseguente rovesciamento del rapporto tra macchine e umani. Non sono le macchine che lavorano al servizio – e talvolta al posto – degli umani, in questo caso: sono gli umani che lavorano al servizio – e talvolta al posto – delle macchine che generano fatturato per i giganti dei media sociali. La conflittualità emergente tra gli stati e le grandi compagnie che possiedono le piattaforme sulle quali si svolgono questi fenomeni è probabilmente soltanto il preludio di una conflittualità più profonda, sul valore del lavoro offerto dagli utenti. La soluzione non è in vista. Ma il problema sì.

Articolo pubblicato su Nòva l’11 ottobre 2020

Intervista ne Il Giorno (1 ott. 2020)

Dati e intelligenze artificiali, siamo tutti schiavi dei colossi di internet

Non solo fattorini di cibo e pacchi: i cittadini vengono sfruttati dalle grandi piattaforme

di ELVIRA CARELLA

Ragazza al computer (foto repertorio)
Ragazza al computer (foto repertorio)

Milano, 1 ottobre 2020 –  «La rivoluzione digitale è il continuum di quella industriale, in cui iniziò la grande tendenza verso la divisione del lavoro e la forte opposizione tra logiche di capitale e quelle di profitto. Nel digitale, pertanto, ritroviamo gli stessi elementi, aggiunti o spinti all’estremo”. A parlare è il professore dell’Università Télécom Paris, il sociologo Antonio Casilli, autore di “Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo” (Feltrinelli). Egli sostiene che la divisione del lavoro diventa la sua parcellizzazione. Basta poco per eseguire un’operazione, che spesso le piattaforme propongono di pagare a cottimo. “La più piccola è il clic, che realizziamo, selezionando un contenuto, lasciando un commento, un like…”.

Siamo tutti schiavi del clic?
“Tutti ci troviamo su Internet e produciamo valore per grandi piattaforme, sotto forma di dati fonte di profitti attraverso la pubblicità, ma anche tramite l’uso che le grandi piattaforme ne fanno, per preparare e calibrare intelligenze artificiali”.

Cosa sono?
“Non sono fatte solo di robot antropomorfi o braccia meccaniche applicate nel contesto industriale. Sono una forma di modelli matematici, che prevedono o anticipano eventi o decisioni. Software basati sul “digital labor” dell’utente, che con un input li addestra e fornisce le risposte più pertinenti”.

Sfata la profezia che gli uomini vengano sostituiti da robot
“Dietro ai robot si nasconde il lavoro umano, reso invisibile da attori industriali e da decisioni di natura politica. Le operazioni sono svolte da persone, che a volte non vediamo, perché non presenti nella comunicazione delle aziende, o sono in strutture offshore, che creano dati e valore per le piattaforme, che servono a produrre i robot”.
E gli operai del web?
“Spesso definiti micro lavoratori, vivono, in condizioni molto precarie, per metà nei Paesi del Nord del mondo e metà in quelli del Sud. Quindi, siamo di fronte a fratture e disuguaglianze, che ripropongono antiche logiche, anche di natura coloniale”.
Possiamo parlare di evasioni milionarie dei colossi web?
“Di infrazioni milionarie delle regole di difesa del lavoro. Se Google, Uber, Amazon inquadrassero i cottimisti in base alla legge, dovrebbero pagare un conto molto salato. Rifiutano di farlo, malgrado sentenze che ingiungono di remunerare i lavoratori secondo il giusto valore”.

Nuova coscienza di classe?
“È più una speranza. Ci sono forme di organizzazioni spontanee dei lavoratori delle piattaforme e dei sindacati tradizionali. Nel 2017 la Cgil ha adottato una dottrina, la contrattazione dell’algoritmo: abbiamo il diritto di vedere il funzionamento delle intelligenze artificiali. Ciò si trasforma in azioni di lotta e creazione della coscienza di classe degli operai attraverso piattaforme alternative non-profit”.

Per Marx il lavoro industriale portava all’alienazione. Quello digitale?
“È molto più ambiguo. Facebook e Instagram aiutano a mantenere rapporti con la comunità, a disalienarsi in un certo senso, ma ci espongono a forme di sfruttamento. Per mitigare l’alienazione le piattaforme ci propongono il lavoro del clic, senza pagarlo o pagandolo poco. Stiamo ribaltando la logica dell’epoca di Marx, in cui c’era molta più alienazione e uno sfruttamento meno efficace dell’attuale, che produce in Borsa valorizzazioni stratosferiche”.

[Video] “La coscienza di classe degli operai digitali”: intervista per Wired Italia

In occasione dell’uscita per i tipi della Feltrinelli di Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo?, traduzione del mio libro En attendant les robots (Éditions du Seuil, 2019), ho fatto due chiacchiere con il giornalista e ricercatore Philip Di Salvo nel contesto del Wired Next Fest 2020. Abbiamo parlato di digital labor, di automazione e di coscienza di classe.

Le fabbriche di clic, quelle strutture in cui veri e propri operai digitali generano dati per addestrare gli algoritmi, rischiano di riproporre i medesimi meccanismi del capitalismo dell’era analogica. È possibile costruire uno scenario diverso per il lavoro del futuro? In occasione dell’uscita del libro Schiavi del clic (Feltrinelli, 2020), ne parliamo con l’autore.

[Update Gennaio 2021] Arriva in libreria ‘Schiavi del clic’ (Feltrinelli), traduzione italiana del mio ‘En attendant les robots’!

UPDATE GENNAIO 2021 : Schiavi del clic è stato selezionato nella cinquina dei finalisti del Premio Galileo per la divulgazione scientifica.

Il 17 settembre 2020 arriva nelle librerie italiane Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? traduzione del mio pluripremiato En attendant les robots, uscito in Francia nel 2019. È la Feltrinelli Editore che ha curato questa bella iniziativa, e per la traduzione ha fatto appello alla penna del saggista Raffaele Alberto Ventura.

Descrizione

C’è un’opinione diffusa sulla rivoluzione tecnologica ed è che l’intelligenza artificiale sostituirà gli uomini, cancellando il lavoro come lo conosciamo. Questa idea è del tutto infondata. L’intelligenza artificiale non renderà superfluo il lavoro. Al contrario: gli operai del clic sono il cuore dell’automazione.  Con un’inchiesta sul nuovo capitalismo delle piattaforme digitali, Antonio Casilli dimostra che, in realtà, l’intelligenza artificiale ha sempre più bisogno di forza lavoro, che viene reclutata in Asia, in Africa e in America Latina. Gli operai del clic leggono e filtrano commenti sulle piattaforme digitali, classificano l’informazione e aiutano gli algoritmi ad apprendere.  Quella in corso è una rivoluzione profonda e ci riguarda da vicino, perché trasforma il lavoro in un gesto semplice, frammentario e pagato sempre meno o addirittura nulla, quando a compierlo sono addirittura i consumatori. Quante volte al supermercato abbiamo scelto le casse automatiche per evitare la fila? Così, con una velocità esponenziale, l’accumulazione gigantesca dei dati alla quale tutti partecipiamo si converte in una forma di lavoro non retribuito, di cui spesso siamo inconsapevoli. È un nuovo taylorismo, nel quale le piattaforme digitali come Amazon, Facebook, Uber e Google sono i principali attori capaci di sfruttare i propri utenti inducendo gesti produttivi non remunerati. Stiamo creando una tecnologia che ha bisogno di lavoro umano e ne avrà bisogno sempre di più. Un lavoro non sarà mai sostituito da un’automazione. Perciò le lotte per il riconoscimento di questo lavoro sono legittime e soprattutto necessarie.

Quarta di copertina

Le profezie sulla “fine del lavoro” risalgono all’alba della civiltà industriale. Anche oggi c’è un’opinione diffusa sulla rivoluzione tecnologica, ed è che l’intelligenza artificiale sostituirà gli uomini, cancellando il lavoro come lo conosciamo. Un’idea del tutto infondata. Le nostre inquietudini sono un sintomo della vera trasformazione in atto: non una scomparsa del lavoro, ma la sua digitalizzazione. Con un’inchiesta sul nuovo capitalismo delle piattaforme, Antonio Casilli getta luce sulla manodopera dell’economia contemporanea: centinaia di migliaia di schiavi del clic vengono reclutati in Asia, in Africa e in America Latina per leggere e filtrare commenti, classificare le informazioni e aiutare gli algoritmi ad apprendere. È una rivoluzione che ci riguarda da vicino, molto più di quanto vorremmo vedere, perché trasfigura il lavoro in un gesto semplice, frammentario e pagato sempre meno o perfino nulla, quando a compierlo sono addirittura i consumatori. Casilli esplora le strategie e le regole del nuovo taylorismo, nel quale Amazon, Facebook, Uber e Google sono gli attori principali grazie alla capacità di sfruttare i propri utenti inducendo gesti produttivi non remunerati. Servono tutti gli strumenti della sociologia e della scienza politica, del diritto e dell’informatica per smascherare le logiche economiche della società plasmata dalle piattaforme digitali. Per la prima volta, con questo libro riusciamo a immaginarne il superamento: la posta in gioco della nostra epoca è la lotta per il riconoscimento del lavoro di chi fa funzionare le macchine senza diritti e, spesso, senza consapevolezza. Siamo tutti lavoratori digitali e abbiamo bisogno di una nuova coscienza di classe. L’intelligenza artificiale è fatta da milioni di persone senza diritti. Lavoratori invisibili e consumatori inconsapevoli. Siamo tutti schiavi del clic.   Ecco come possiamo smascherare lo sfruttamento che il nuovo capitalismo tiene nascosto.

[Video] Intervento ne “Il Mondo che Verrà” (Feltrinelli, 25 maggio 2020)

 ‘Il mondo che verrà’ è una serie di interventi video sui canali social del Gruppo Feltrinelli: quattro appuntamenti a settimana, dal 27 aprile 2020 con i contributi degli autori della casa editrice. 

Come sarà il mondo dopo la pandemia? Cosa dobbiamo portarci nella nostra vita di domani? Giangiacomo Feltrinelli editore prova a rispondere a questo e ad altri interrogativi con ‘Il mondo che verrà’. Un palinsesto di contributi video di scienziati, storici, giornalisti e narratori che proporranno idee e strumenti per ripartire con consapevolezza verso un futuro da inventare. Perché cercare risposte attraverso la conoscenza, la competenza e l’autorevolezza è la migliore risorsa a cui possiamo attingere. Come cambierà il nostro rapporto con la scienza? Come vivremo da cittadini le nuove sfide della politica e del lavoro? Quale sarà il nuovo ruolo della tecnologia nella nostra vita? E cosa sta succedendo alla scuola e al nostro modo di concepire l’insegnamento?

Intervista ne Il Manifesto (29 avr. 2020)

Antonio Casilli: i nuovi conflitti del lavoro digitale nella società virale | il manifesto

Roberto Ciccarelli


Verso il primo Maggio 2020. Intervista al sociologo Antonio Casilli: «Economie delle app, grande distribuzione, e-commerce. Organizziamoci senza essere subalterni alla retorica dell’innovazione. A Madrid i rider hanno scioperato in quarantena. Azioni sindacali sono previste anche il primo maggio negli Stati Uniti»

Antonio Casilli (Università Paris Télécom)
Antonio Casilli (Università Paris Télécom)

Edizione del 29.04.2020

Pubblicato 28.4.2020, 23:07

Aggiornato 30.4.2020, 8:31

La crisi pandemica ha fatto emergere un mercato del lavoro a tre teste – afferma Antonio Casilli, docente di sociologia presso l’università Télécom Paris – Ci sono persone che possono tele-lavorare da casa durante la quarantena. Lo “smart working” è molto celebrato, ma la possibilità di ricorrere a questo uso delle piattaforme digitali non supera in media il 30 per cento della forza lavoro dipendente. Nel lungo post-quarantena lo “smart working” potrebbe essere imposto e non scelto. In alcuni casi potrebbe essere il preludio al licenziamento, al part time involontario o al taglio del costo del lavoro».

Quali sono le altre teste?
La seconda è costituita da lavoratori precari o dipendenti già attivi che non possono tele-lavorare. Il personale medico, quello della grande distribuzione, i trasporti pubblici e i lavoratori di prossimità. Tra questi ci sono i lavoratori delle consegne dell’ultimo chilometro: i rider in moto o in bici, i driver con i camioncini che Amazon considera “liberi professionisti” o conto-terzisti e sono invece alle sue dipendenze. Consegnano le merci a chi è in quarantena e sono diventati più visibili quando le folle sono scomparse dalle città. La terza testa è quella dei lavoratori dell’automazione che moderano i commenti sui social network o allenano gli algoritmi a diventare “intelligenti”. Oggi il traffico di dati è enormemente aumentato a causa della reclusione di miliardi di persone. Questi “operai” digitali, a volte dei cottimisti pagati a clic, operano in tutto il mondo e, pur essendo molto numerosi, sono a volte impossibilitati a radunarsi nelle fabbriche del clic dove operano in Spagna, in Irlanda, paesi anche loro in quarantena. E, se operano da casa, o da smartphone, sono pochi per gestire lo spam e le fake news che si sviluppano nelle relazioni digitali.

Che ruolo occupa il lavoro di cura in questa divisione del lavoro in quarantena?
La gestione delle relazioni familiari e delle mansioni è distribuita in maniera diseguale e il peso è ancora più forte sulle donne. Ha ragione chi rivendica il riconoscimento di un reddito per permettere l’autodeterminazione delle donne in un contesto drammatico dove aumentano le violenze domestiche e gli omicidi. In molti casi le donne lavorano nei settori di prossimità, nella grande distribuzione o nel settore sanitario. I sindacati stanno chiedendo aumenti, tutele e la regolarizzazione di lavoratrici che sono costrette ad operare nell’economia informale. La soluzione può essere dunque duplice: da una parte ci vuole un reddito che permette l’autodeterminazione, dall’altra i diritti del lavoro.

È emersa la divisione tra chi non ha sussidi ed è in povertà e chi può comunque accedere a una precarietà piattaformizzata per cercare di guadagnare. Qual è il ruolo delle piattaforme digitali in questa nuova stratificazione sociale?
Nominalmente, aiutare i lavoratori. In realtà, rafforzare il loro sfruttamento. In un contesto dove a un enorme numero di persone, anche lavoratori autonomi, sono stati estesi in maniera eccezionale i classici sussidi sociali, esiste una moltitudine di persone che non hanno accesso al welfare. Il lavoro digitale è un’opportunità per sbarcare il lunario e una giustificazione legale per uscire di casa. Assistiamo anche a una trasformazione delle piattaforme. Uber, specializzata nel trasporto privato non di linea, sta cercando di reinventarsi come trasportatore di merci dell’ultimo chilometro.

Quali sono i rischi che corre chi lavora per queste piattaforme?
Prendiamo il caso del «Contactless delivery», la consegna senza contatto. I fattorini non consegnano direttamente, ma lasciano la merce fuori dalla porta o nel portone. Ma la sicurezza è solo per il consumatore. Questi lavoratori devono relazionarsi con i ristoratori o gli hub di consegna, viaggiare in città, correre ogni tipo di rischio. Dare il monopolio a queste piattaforme significa riconoscere il monopolio di usare un linguaggio che stravolge la realtà.

Perché i gig workers protestano in molti paesi?
Le piattaforme cercano di abbassare il prezzo del lavoro, quando la domanda aumenta. In Spagna accade con Glovo che ha dimezzato la tariffa base e sta provocando ondate di scioperi. A Madrid c’è stato il primo sciopero di strada in una città in quarantena. Azioni sindacali che prima erano scioperi selvaggi si stanno organizzando per il primo maggio anche negli Stati Uniti. Si aprono nuovi fronti di conflitto attorno le piattaforme e contro la loro visione angelicata dell’innovazione. È uno scenario comune all’economia delle app, alla grande distribuzione e all’e-commerce su Instacart, Amazon o Whole Foods.

In che modo è possibile riconoscere i diritti dei lavoratori digitali dell’ultimo chilometro?
Questo era un problema scottante prima dell’epidemia, ora è ancora più urgente. Esistono due orientamenti: fare rientrare il lavoro della consegna dell’ultimo chilometro in quello subordinato, garantendo le tutele. È la posizione prevalente tra i sindacati e in alcuni attori della società civile. Non tutti sono però d’accordo. Tra i lavoratori alcuni chiedono addirittura la chiusura o la collettivizzazione delle piattaforme e l’estensione dei diritti oltre il lavoro salariato. In entrambi i casi non si hanno conseguenze negative. In un contesto come quello attuale, con una recessione mai vista, essere riconosciuti salariati di aziende che possono scomparire da un momento all’altro, potrebbe non essere l’unica soluzione.

Didattica a distanza, piattaforme, social media, logistica. Il capitalismo digitale sarà uno dei vincitori della crisi?
È una conclusione probabile. È in atto una cattura sociale e un’appropriazione del valore. Una serie di servizi offerti in modalità alternative sono stati sussunti da WhatsApp, Instagram, Zoom e compagnia. È urgente capire come organizzare diversamente una società evitando la subalternità alle retoriche sull’automazione che occultano l’attività di persone senza diritti ma svolgono un lavoro fondamentale.

[Video] Lavoro e capitalismo delle piattaforme (Roma, Italia, 7 nov. 2017)

Il 7 novembre 2017, ho condotto un seminario-fiume (4 ore e più) nell’ambito della Scuola critica del digitale, una iniziativa del Centro per la Riforma dello Stato (CRS) in collaborazione con le Camere del lavoro autonomo e precario (CLAP). Il seminario si è svolto a Roma nello spazio autogestito Esc Atelier. Qui di seguito le cinque parti del video ritrasmesso in streaming.

Interventi di Francesco Raparelli (Esc) e Giulio De Petra (CRS). Seminario: piattaformizzazione.

Seminario: Lavoro on-demand, micro-lavoro, lavoro sociale in rete.

Seminario: Azione sindacale in rete, cooperativismo delle piattaforme.

Confronto con i partecipanti (1)

Confronto con i partecipanti (2)

Lavoro e capitalismo delle piattaforme
con Antonio Casilli

L’attenzione crescente di chi studia, per modificarle, le nuove forme che assume il lavoro si rivolge sempre più spesso alle attività quotidiane di miliardi di utilizzatori di servizi online le quali, pur sfuggendo a un inquadramento salariale, sono produttrici di valore. Per un numero crescente di lavoratori, di semi-professionisti, di persone in cerca di impiego, di semplici utilizzatori, il lavoro passa dalle piattaforme digitali.
Al centro dell’attenzione è la capacità di queste grandi infrastrutture tecnologiche di comandare non solo il lavoro esplicito e frammentato di quote crescenti di lavoratori sempre più precarizzati, dalla logistica alla produzione intellettuale, ma anche il ‘lavoro implicito’ più o meno volontario e gratuito degli utilizzatori, spesso strumentalizzando a fini commerciali concetti come ‘condivisione’, ‘partecipazione’, ‘collaborazione’.
Dalla fornitura di servizi (come su Foodora) alla creazione di contenuti (come su Youtube), dalla produzione di dati (come su Google) al perfezionamento di sistemi di intelligenza artificiale (come su Amazon Mechanical Turk), queste nuove forme di “lavoro digitale” sono spesso invisibili e presentate come attività accessorie rispetto al lavoro tradizionale. Eppure esse incanalano, contrattualizzano e misurano la performance degli utilizzatori umani e li articolano con operatori non umani (bots, intelligenze artificiali, etc.).
Ma generano anche nuovi conflitti sociali legati, ad esempio, al riconoscimento delle condizioni di produzione e della proprietà sui prodotti distribuiti per mezzo di Internet.
Di fronte allo strapotere di nuove e vecchie piattaforme, un numero crescente di rivendicazioni collettive si organizza e si manifesta.
Rinnovo del sindacalismo, nuove iniziative della società civile, altri movimenti: si sta avviando una nuova stagione di lotte sociali legate ai diritti fondamentali, alla redistribuzione del reddito e ai rapporti di potere connessi alle tecnologie digitali.

Indice degli argomenti

• L’analisi delle nuove forme di organizzazione sociale legate all’utiizzo delle piattaforme.
• L’analisi delle diverse forme di impiego generate dall’utilizzo delle piattaforme
• La descrizione e l’analisi delle diverse modalità di lavoro esplicito ed implicito realizzato mediante le piattaforme
• L’emersione e la convergenza dei conflitti generati e abilitati dall’uso delle piattaforme
• La descrizione di scenari per il “futuro del lavoro”
• La progettazione dell’azione militante

 

Qui la presentazione del seminario in PDF