Intervista ne Il Giorno (1 ott. 2020)

Dati e intelligenze artificiali, siamo tutti schiavi dei colossi di internet

Non solo fattorini di cibo e pacchi: i cittadini vengono sfruttati dalle grandi piattaforme

di ELVIRA CARELLA

Ragazza al computer (foto repertorio)
Ragazza al computer (foto repertorio)

Milano, 1 ottobre 2020 –  «La rivoluzione digitale è il continuum di quella industriale, in cui iniziò la grande tendenza verso la divisione del lavoro e la forte opposizione tra logiche di capitale e quelle di profitto. Nel digitale, pertanto, ritroviamo gli stessi elementi, aggiunti o spinti all’estremo”. A parlare è il professore dell’Università Télécom Paris, il sociologo Antonio Casilli, autore di “Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo” (Feltrinelli). Egli sostiene che la divisione del lavoro diventa la sua parcellizzazione. Basta poco per eseguire un’operazione, che spesso le piattaforme propongono di pagare a cottimo. “La più piccola è il clic, che realizziamo, selezionando un contenuto, lasciando un commento, un like…”.

Siamo tutti schiavi del clic?
“Tutti ci troviamo su Internet e produciamo valore per grandi piattaforme, sotto forma di dati fonte di profitti attraverso la pubblicità, ma anche tramite l’uso che le grandi piattaforme ne fanno, per preparare e calibrare intelligenze artificiali”.

Cosa sono?
“Non sono fatte solo di robot antropomorfi o braccia meccaniche applicate nel contesto industriale. Sono una forma di modelli matematici, che prevedono o anticipano eventi o decisioni. Software basati sul “digital labor” dell’utente, che con un input li addestra e fornisce le risposte più pertinenti”.

Sfata la profezia che gli uomini vengano sostituiti da robot
“Dietro ai robot si nasconde il lavoro umano, reso invisibile da attori industriali e da decisioni di natura politica. Le operazioni sono svolte da persone, che a volte non vediamo, perché non presenti nella comunicazione delle aziende, o sono in strutture offshore, che creano dati e valore per le piattaforme, che servono a produrre i robot”.
E gli operai del web?
“Spesso definiti micro lavoratori, vivono, in condizioni molto precarie, per metà nei Paesi del Nord del mondo e metà in quelli del Sud. Quindi, siamo di fronte a fratture e disuguaglianze, che ripropongono antiche logiche, anche di natura coloniale”.
Possiamo parlare di evasioni milionarie dei colossi web?
“Di infrazioni milionarie delle regole di difesa del lavoro. Se Google, Uber, Amazon inquadrassero i cottimisti in base alla legge, dovrebbero pagare un conto molto salato. Rifiutano di farlo, malgrado sentenze che ingiungono di remunerare i lavoratori secondo il giusto valore”.

Nuova coscienza di classe?
“È più una speranza. Ci sono forme di organizzazioni spontanee dei lavoratori delle piattaforme e dei sindacati tradizionali. Nel 2017 la Cgil ha adottato una dottrina, la contrattazione dell’algoritmo: abbiamo il diritto di vedere il funzionamento delle intelligenze artificiali. Ciò si trasforma in azioni di lotta e creazione della coscienza di classe degli operai attraverso piattaforme alternative non-profit”.

Per Marx il lavoro industriale portava all’alienazione. Quello digitale?
“È molto più ambiguo. Facebook e Instagram aiutano a mantenere rapporti con la comunità, a disalienarsi in un certo senso, ma ci espongono a forme di sfruttamento. Per mitigare l’alienazione le piattaforme ci propongono il lavoro del clic, senza pagarlo o pagandolo poco. Stiamo ribaltando la logica dell’epoca di Marx, in cui c’era molta più alienazione e uno sfruttamento meno efficace dell’attuale, che produce in Borsa valorizzazioni stratosferiche”.